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La fotografia musicale - parte#3

Fotografare un concerto

Può sembrare da quanto analizzato fin qui che la pratica della fotografia live sia ormai in declino. In realtà esiste ancora un grande mercato per gli scatti dal vivo, anche se ogni giorno si scontra con l’evoluzione della tecnologia e con l’aumentare del materiale dilettantesco reperibile sul web.

I grandi tour degli artisti importanti hanno sempre un nutrito gruppo di fotografi ufficiali, che seguono l’intera stagione di concerti, oltre a professionisti freelance o assoldati da riviste, giornali, blog e associazioni locali, che si alternano durante le varie date a seconda di disponibilità e vicinanza. Queste persone hanno la responsabilità di realizzare reportage di alta qualità sulla performance dell’artista in questione, senza tralasciare l’aspetto artistico. I fortunati che vengono ingaggiati direttamente dalla band quasi certamente realizzeranno gli scatti migliori, sia per il talento che li ha fatti preferire a migliaia di altri, sia perché l’operatore ufficiale del tour ha accesso esclusivo al backstage e a postazioni privilegiate da cui scattare, e non deve sottostare alle limitazioni di tempo che penalizzano i colleghi freelance. Per tutti gli altri l’ambiente è estremamente competitivo, chi realizzerà gli scatti migliori forse potrà essere ricontattato dalla band, per progetti futuri, o semplicemente vendere i file digitali al miglior offerente.

Gli operatori del settore si scontrano ogni giorno con l’esigenza di presentare prodotti di qualità eccelsa, onde evitare di essere esclusi dal mercato: a causa della mole incredibile di immagini amatoriali che viene prodotta e distribuita gratuitamente dagli utenti del web 2.0, diventa via via più complicato essere presi in considerazione quando si propongono i propri lavori.

Normativa e foto illegali

È doverosa una precisazione: nonostante la legge stabilisca che è consentito fotografare personaggi famosi (in quanto il diritto alla privacy si configura per un individuo nel momento in cui questi non desideri essere esposto alla notorietà, principio che non è applicabile a un artista, dato che è già noto), nella maggior parte dei casi non è consentito filmare e fotografare le performance degli artisti, a meno di non essere in possesso di un pass rilasciato dagli organizzatori dell’evento in accordo con il committente o il fotografo stesso; tuttavia questa norma viene solitamente applicata solo all’uso di macchine professionali – sarebbe un’impresa ardua tentare di sequestrare i cellulari e le compatte tascabili alle migliaia di persone che affluiscono solitamente a questi eventi, per cui le riprese con attrezzature amatoriali sono generalmente tollerate. Ma anche se rimangono illegali e quindi in teoria non utilizzabili, la loro mera esistenza intacca il valore del lavoro regolare: la foto di un professionista non ha più lo stesso peso editoriale, per quanto bella possa essere, se in rete è possibile reperire gratuitamente materiale inerente alla stessa performance.

Secondo la legge:

per pubblicare con finalità giornalistiche immagini di personaggi famosi non occorre autorizzazione. Occorre autorizzazione in ogni caso e comunicazione al Garante se la pubblicazione può risultare lesiva (legge 633/41), oppure se fornisce indicazioni sullo stato di salute, sull’orientamento politico, sul credo religioso o sulla vita sessuale (d.lgs 196/2003).

Occorre autorizzazione in ogni caso se le immagini vengono usate con finalità promozionali, pubblicitarie, di merchandising o comunque non di prevalente informazione o gossip.

La posizione dell’artista riguardo alle foto scattate dal pubblico sta però mutando nel tempo. Una volta le regole erano più rigide, non era permesso scattare foto durante l’esibizione e c’era il rischio di incorrere in sanzioni ed essere allontanati dalla sala; ma oltre all’impossibilità fisica di perquisire migliaia di persone alla ricerca di moderni cellulari con videocamera, gli artisti hanno capito che la mole di materiale prodotta dal pubblico sarà per loro unicamente d’aiuto, dato che verrà condivisa facendo loro pubblicità gratuita, ma non sottrarrà vendite, perché non potrà competere in qualità con le release ufficiali. Ci sono stati addirittura dei casi eclatanti (i più recenti quelli di Pink e Beyonce) in cui l’artista non ha concesso accrediti a nessun fotografo professionista. L’entourage dell’artista in questi casi ha fatto affidamento unicamente sul fotografo ufficiale e sulle foto del pubblico, che per la prima volta sono state selezionate acquistate direttamente, pagando gli spettatori artefici degli scatti migliori. Questo avvenimento segna una svolta per la fotografia di live, che vede i professionisti del settore sempre più in difficoltà.

Un vantaggio che il fotografo professionista avrà sempre rispetto al pubblico, oltre al permesso di utilizzare attrezzatura superiore, è la posizione. Gli operatori autorizzati possono scattare da spalti riservati, che garantiscono visuale libera sui punti migliori del palco, e senza essere intralciati dalla folla.

L’attimo, il pathos, l’inquadratura

“Non lo dicono solo gli appassionati: [...] la componente visiva è essenziale. Si può comprendere un brano no in fondo solo se si può assistere alla sua esecuzione.”

“Il critico francese André Hodeir ha spiegato che il jazz, molto più della musica europea, è l’espressione più autentica di un ‘feeling corporeo’, proprio perché coinvolge in modo totale il musicista e viene interpretato con tutto il corpo.”

Joachim-Ernst Berendt, Fotostoria del jazz

Quando si assiste a un concerto sono diverse le cose che colpiscono lo spettatore. Indubbiamente la componente visiva ha da sempre avuto un ruolo fondamentale fin dai tempi del jazz e del blues, e questo fattore sta diventando sempre più importante col passare degli anni. Elementi di intrattenimento di natura puramente visiva, come balletti, spettacoli pirotecnici e proiezioni su mega-schermi, fanno ormai parte della scenografia della maggiorparte degli spettacoli.

Alcuni artisti hanno fatto da apripista a quelle che oggi sono tendenze collaudate e consolidate: nel pop ricordiamo gli spettacoli di Madonna, che schiera ogni volta un intero corpo di ballo per dare vita a coreografie molto elaborate, con tanto di cambio d’abito tra un brano e l’altro. Nel ruolo di maestri dei fuochi d’artificio rimangono ineguagliati i Kiss, che continuano ancora oggi (dopo una carriera che dura da quarant’anni esatti) a proporre spettacolari esplosioni e giochi pirotecnici durante la loro performance. La band di Detroit va sicuramente ricordata anche per il look singolare con cui va in scena: abiti sgargianti e scintillanti, zeppe iperboliche e le pitture facciali che li contraddistinguono e che sono diventate il loro marchio di fabbrica.

Le limitazioni: scarsità di luce e velocità d’azione

Circoscrivendo il discorso all’ambito tecnico della fotografia – tralasciando quindi gli aspetti legali e contingenti – gli ostacoli maggiori sul cammino del fotografo di concerti (o eventi in generale) sono dettati dalla luce e dal tempo. I concerti di una certa importanza si tengono su palchi, all’aperto o al chiuso, su cui non è possibile gestire la luce in maniera efficiente dal punto di vista fotografico.

Nel caso delle arene all’aperto l’ausilio della luce solare è spesso vanificato dagli orari dell’esibizione, che solitamente comincia dopo il tramonto. In ogni caso ci si deve affidare all’illuminazione artificiale. I sistemi di illuminazione dei grandi palchi sono estremamente sofisticati e permettono di gestire con grande precisione l’arrangiamento dei giochi di luce (per fare un esempio: un sistema molto usato soprattutto nell’elettronica e nel metal è quello di collegare il meccanismo di switch delle luci a un trigger, che riceve il segnale dal microfono della grancassa, in questo modo le luci sono sincronizzate con la batteria e cambiano ogni volta che la grancassa viene suonata dal batterista sul palco). Tuttavia questi impianti non sono in grado di garantire una corretta illuminazione degli artisti sul palco, che possono trovarsi in ombra o rivolti dal lato opposto a quello illuminato.

Contribuiscono a rendere difficoltosa l’esposizione anche le scenografie e i costumi di scena: i fondali spesso rimangono privi di illuminazione, per massimizzare l’attenzione sull’artista, e questo toglie ulteriore luce agli scatti. I costumi di scena possono essere un grande aiuto quando sono chiari o colorati in maniera vivace. Ma possono anche creare problemi se sono scuri – soprattutto nel rock, hardcore e metal la tendenza è a vestirsi completamente di nero durante le esibizioni –, perché oltre a non riflettere luce si confondono con i fondali, traendo in inganno la messa a fuoco automatica delle reflex, che funziona misurando il contrasto tra le aree di luce e quelle di ombra.

Un altro problema è la velocità dell’azione che si riprende: il cantante corre e salta per tutto il palco, pieno di energia, per coinvolgere le prime file, e questo espone il fotografo al rischio di ritrovarsi con foto mosse o fuori fuoco. È una sfida che mette sempre a dura prova sia l’operatore sia la macchina: l’uomo si occupa di scegliere l’attimo (tentando di cogliere l’istante perfetto in cui l’artista compie quel particolare gesto, e lo compie lentamente, tanto da poter essere immortalato), mentre il sensore e i processori si occupano di gestire la messa a fuoco.

Viste le condizioni poco favorevoli, il modo migliore di procedere a uno shooting dal vivo e quello di aprire il più possibile il diaframma, per consentire più luce di impressionare il sensore. Col diaframma aperto si passa a scegliere i tempi di scatto. A seconda del tipo di performance (fotografare i Metallica, occupati in intense sessioni di head-banging, non è la stessa cosa che riprendere il violoncellista Yo-yo Ma mentre esegue un brano, comodamente seduto) si sceglie una velocità dell’otturatore tale da congelare il movimento. Le impostazioni ISO entrano in gioco subito dopo: dopo aver trovato le impostazioni giuste per quanto riguarda diaframma e tempi si agisce sulla sensibilità – generalmente aumentandola –, fino a ottenere l’esposizione ottimale.

Le macchine compatte eseguono queste operazioni in automatico, e optano quasi sempre per l’utilizzo del flash incorporato. In questo modo modificano e appiattiscono le luci reali della scena, e gli alti ISO restituiscono solitamente fotografie molto sgranate. Le reflex più sofisticate sono in grado di lavorare con ISO molto elevati e restituire immagini nitide e quasi prive di rumore, senza fare utilizzo di luci supplementari come flash o lampade; è soprattutto questo che fa la differenza, le macchine di fascia media funzionano bene sotto ogni punto di vista, ma cominciano a mostrare le loro debolezze quando è necessario incrementare la sensibilità ISO.

I progressi della fotografia digitale

Le moderne tecnologie digitali sono progredite al punto che gli apparecchi top di gamma delle varie case produttrici sono ormai in grado di focheggiare in tempi estremamente veloci anche in condizioni di assenza totale di luce: una fotocellula posta sul corpo macchina (o su un flash esterno, nel caso in cui si voglia adottare una fotocellula più potente) consente di lanciare impulsi luminosi che, colpendo il soggetto, ne consentono la messa a fuoco immediata senza influenzare l’illuminazione naturale della scena.

Inoltre la gestione del rumore e dell’aberrazione cromatica in condizioni di ISO elevati ha subito un’evoluzione incredibile negli ultimi anni. Fino a una decina di anni fa la maggior parte delle pellicole a disposizione variavano tra 100 e 3200 ASA (che è il vecchio standard, poi sostituito dagli ISO); le reflex digitali di nuova generazione dispongono di un sensore capace di variare tra ISO 50 e 100.000, aprendo nuovi mondi di possibilità creative in condizioni di scarsa illuminazione.

I soggetti

Come si è visto, l’immagine è un mezzo di comunicazione molto potente, persistente e capace di stratificarsi nell’immaginario collettivo. Chi sa come servirsene è in grado di veicolare, tramite le immagini, contenuti che influenzano e fidelizzano i fruitori, proprio come avviene per la pubblicità (soprattutto in televisione).

Ma questo procedimento presenta effetti collaterali sia per i destinatari che per i mittenti di questi contenuti. Si vede infatti che sempre più spesso gli artisti sono come prigionieri dell’immagine che hanno creato per il pubblico. Per dirla con le parole di Erving Goffman:

Quando un individuo compare alla presenza di altri, avrà generalmente qualche buon motivo per agire in modo da comunicare agli altri quell’impressione che è suo interesse dare.

L’analisi del sociologo si riferisce all’essere umano in quanto tale, dato che chiunque, volente
o nolente, è costretto dal vivere in società ad assumere diverse maschere a seconda delle persone con cui si trova in un dato momento. L’argomento è di particolare interesse, dato che assimila la vita di un uomo qualunque a uno spettacolo, una messa in scena: proprio come un’esibizione musicale.

Ma mentre Goffman descrive le due modalità della recita sociale (ovvero quella verbale e quella non verbale), nonostante la sua trattazione si riferisca soprattutto alla seconda, definendola “teatrale e contestuale” e soprattutto “generalmente non intenzionale”, egli ammette la possibilità che questa possa essere “più o meno volutamente costruita”. Ovvero, gli attori della recita sociale inscenano volontariamente un determinato comportamento per ottenere una determinata reazione dai presenti. Nel caso più banale e frequente, la reazione che si desidera è il consenso, che in ambito musicale possiamo definire come “successo”. L’analisi di Goffman dimostra chiaramente che un individuo, dopo aver ottenuto la reazione che disiderava, tenderà a ripetere la pattern comportamentale che lo ha portato a ricevere l’approvazione degli astanti. Questo è vero anche e soprattutto nella musica, in cui spesso l’originalità è costretta a lasciare il posto a un certo manierismo, al fine di accaparrarsi parte del successo di qualcun altro emulandone le opere. Questo accade per quanto riguarda sia le composizioni musicali sia la produzione iconografica, l’esempio forse più lampante degli ultimi anni è rappresentato dagli inglesi Oasis, che hanno basato la loro intera carriera sull’emulazione dei Beatles: tutto, dalla composizione musicale all’abbigliamento, dal taglio di capelli alla rappresentazione iconografica, sembra essere (e sicuramente è) stato studiato a tavolino per ricreare quell’atmosfera creata dai Fab Four di Liverpool.

La maschera dell’artista

La creazione del personaggio è presupposto indispensabile al raggiungimento del successo, il personaggio non è una persona normale agli occhi del pubblico, è una sorta di superuomo (“portatore di una soluzione alle contraddizioni della società, sopra la testa dei suoi membri passivi”, per dirla con Umberto Eco). Il personaggio è una sorta di scudo dietro al quale si nasconde l’artista/uomo, e grazie al quale è possibile raggiungere e popolare l’immaginario delle persone. Quando si parla dei Kiss viene in mente il trucco da clown e la lingua insanguinata di Gene Simmons, ovvero il personaggio, mentre tra il grande pubblico nessuno conosce veramente l’uomo dietro la maschera.

La mascotte e i personaggi costruiti

Ci sono stati casi in cui il personaggio dietro a cui si nascondono gli artisti era semplicemente una maschera inanimata, per esempio con la band inglese Iron Maiden, la cui mascotte, Eddie, una sorta di zombie umanoide dalle molte facce, ricompare puntualmente su ogni singola copertina da oltre trent’anni. Si tratta di un espediente molto comodo, perché permette all’artista di mantenere un maggiore anonimato ed essere preso meno a modello, ruolo che ricade sulla mascotte.

La tendenza prevalente comunque è quella, laddove non ci sia a disposizione un artista con una forte personalità, di inventarsi un personaggio dal nulla. È il caso di band come i Tokyo Hotel o Justin Bieber, fenomeni creati appositamente per soddisfare le esigenze di una fetta di mercato ben delimitata e localizzata. Seguendo le regole di Goffman, al personaggio è richiesto di avere determinate caratteristiche per ottenere il successo, ovviamente la casistica non viene più fatta con esperimenti e tentativi, ma analizzando gli esempi a disposizione di artisti attualmente baciati dal successo.

Ovviamente questo ha creato, soprattutto negli ultimi anni, una spirale viziosa di emulazione, che ha impoverito la produzione sia musicale che iconografica. Il risultato di questo processo è stato lo sviluppo di una certa resistenza da parte del pubblico ai nuovi artisti, che spesso vengono paragonati all’oggetto della loro emulazione.

A livello musicale il mercato ha cercato di riprendersi da questo calo di interesse cambiando approccio di produzione: la loudness war, la guerra dei volumi, che imperversa tutt’ora, è uno degli approcci maggiormente battuti. In pratica consiste nell’utilizzo di moderni compressori e limitatori sonori, che consentono di livellare le dinamiche musicali dei brani in modo da aumentarne l’emissione sonora media: un brano che, a parità di impianto e diffusione, suona più forte, verrà presumibilmente sentito da più persone, verrà percepito più nitidamente e, in generale, lascerà un ricordo più duraturo. Anche se duramente contestato da musicisti e audiofili, a causa della perdita della dinamica naturale del suonato e del cantato che questo procedimento comporta, l’approccio del volume pare funzionare sul grande pubblico.

Dal punto di vista iconografico, invece, la tendenza è di creare personaggi estremi, iperbolici, a cui il pubblico non sia assolutamente avvezzo – non perché i temi e contenuti proposti siano originali, ma semplicemente perché più espliciti e trasgressivi di quanto non fosse stato sperimentato fino a ora. Un esempio su tutti è quello di Madonna, diva trasgressiva degli anni ‘80, e di Lady Gaga, artista controversa, appariscente e sopra le righe dei giorni nostri. L’offerta musicale e iconografica delle due done è molto simile, ma si nota immediatamente come la seconda tenda a superare la prima quando si tratta di portare all’iperbole l’immagine del personaggio, con abiti sgargianti e cappelli vistosi al limite dell’inopportuno. È anche mutato il piano semantico della comunicazione: mentre Madonna scandalizzava con i suoi contenuti, Lady Gaga sembra farlo soprattutto con la sua immagine, in particolare con l’uso (o, più spesso, con il mancato uso) di capi d’abbigliamento.

Il ruolo dell’immagine nella costruzione delle moderne “rock star”

La ricerca del successo muove gli artisti in questo mondo dominato dall’immagine, in cui chi ha la voce più alta e l’abito più colorato è solito attrarre la maggiore attenzione. Ma i pericoli non sono finiti nemmeno una volta raggiunto l’obiettivo. Sempre seguendo Erving Goffman, non è sufficiente compiere un’azione in modo da ottenere la reazione desiderata: è estremamente importante circoscrivere le mosse e le circostanze che hanno prodotto quel risultato, onde poter replicare l’esperimento, e si deve mantenere la maschera per evitare di “perdere la faccia”, ovvero trovarsi nella situazione di vedere il proprio personaggio venir messo in discussione.

Questo principio è valido per tutto il genere umano – chiunque mantiene il dovuto contegno in ufficio, davanti a colleghi e superiori, e magari in un altro contesto si abbandona a considerazioni su quanto trovi insopportabile il proprio capo, ma evita accuratamente di perdere la faccia svelando i suoi veri pensieri nel contesto in questione. Nel caso di un personaggio famoso, questo aspetto è di importanza cruciale. Per una persona ordinaria la perdita della faccia è solitamente un avvenimento di entità controllata e circoscritta – se si perde la faccia al lavoro la cosa più probabile è che la notizia non lasci mai l’ufficio –, mentre per un musicista noto può assumere dimensioni allarmanti. Cito a qusto proposito l’episodio che vide protagonista Mike Portnoy, batterista dei Dream Theater, ripreso a sua insaputa da un cellulare mentre si abbandonava a uno sfogo di rabbia con un roadie che, a suo dire, non aveva eseguito il suo dovere fino in fondo nell’allestimento del set di batteria per uno show. Lo spiacevole episodio in un attimo fa il giro del mondo in rete, con un consistente danno d’immagine per il batterista iracondo.

È chiaro che il comportamento del musicista sul palco fa parte della sua maschera, e deve quindi seguire un copione più o meno prestabilito. Ma con l’avvento e la diffusione delle moderne tecnologie di comunicazione, il ruolo del personaggio si è incredibilmente ampliato. L’uomo/artista infatti è obbligato a vestire i panni del personaggio non più solo mentre si esibisce, posa per le foto o firma autografi, ma anche durante la passeggiata, mentre fa la spesa o quando va al cinema; si ritrova così nella situazione di non poter mai (o quasi) svestirsi della maschera che porta, rinunciando a quel “retroscena” di cui parla Goffman, quel luogo speciale in cui ognuno si rifugia per un attimo, tra una recita e l’altra, per un breve attimo in cui non si indossa nessun travestimento.


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